Arriva sul grande schermo l'ultima fatica di uno dei cineasti più atipici, audaci e pulp del cinema italiano. Gabriele Mainetti è uscito con il suo secondo film, dopo il grandissimo successo di quello che è già cult generazionale.
Dividerà il pubblico e la critica, come del resto era facile prevedere, data la natura audace e creativa di Mainetti, il suo cercare di condensare il meglio dell'anima della pop culture internazionale, con l'aria più casereccia e dissacrante del cinema italiano. Il risultato non è perfetto, ma in compenso si fa amare, emoziona, stupisce e dimostra che il nostro cinema ha molte potenzialità da esprimere, se si stacca dal consueto.
L'impasto narrativo di Freaks Out è davvero denso a causa di un gran numero di personaggi e sviluppi condensati in 2 ore e 20 di durata: un minutaggio imponente, sorretto però da un montaggio che non fa sentire il peso di una produzione considerevole. Il risultato finale? Un gustoso cocktail che in sé riunisce storia vera, fantasy e azione, declinati con un'estetica gradevolissima (anche grazie alla fotografia di Michele D'Attanasio).
Una messinscena che si unisce ad un ritmo tutt'altro che lento rende Freaks Out un film molto vicino al cinecomic, al war movie dissacrante alla Castellari e Tarantino.
Si parla dell'orrore della guerra, connettendolo al tema del razzismo, dell'esclusione dei diversi, che ha in particolare nel personaggio di Santamaria il simbolo più forte.
L'inizio è folgorante, si collega allo sceneggiato della RAI dei bei tempi, alla commedia dell'arte, per poi assalirci con l'impatto devastante di un Paese dilaniato dal conflitto. Un quadro oscuro, accentuato dal dramma del personaggio di Matilde, a cui la Giovinazzo dona fragilità e mistero in modo molto efficace
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