“Camicette bianche” è decisamente un testo “al femminile”, che vuole restituire dignità alla donna e al ruolo da lei esercitato in seno alla società. Quando si parla di 8 marzo, il pensiero corre inevitabilmente alla ben nota “festa della donna”, ricorrenza romantica con cui fidanzati e mariti sono soliti omaggiare la propria compagna con la mimosa, gradito dono floreale, ma la mente non può correttamente non ricordare le lotte sindacali sostenute dalle donne per ottenere la cosiddetta “emancipazione”, legata ai diritti fondamentali di voto, di riconoscimento professionale,di tutela in caso di infortunio, di protezione della maternità, in pratica l’agognata “parità con l’altro sesso”.
Tanti passi avanti sono stati compiuti e altrettanti miglioramenti si sono verificati, ma tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il sacrificio, a prezzo della vita, compiuto da giovani, giovanissime migranti che, alla soglia del secolo scorso, s’imbarcarono su navi di fortuna e coraggiosamente affrontarono il viaggio della speranza verso l’America, la terra che avrebbe offerto loro l’autosufficienza economica.
L’autrice, Ester Rizzo, affinché questo cammino verso la parità potesse essere condiviso, ha voluto ricordare la storia delle operaie perite nell’incendio della Triangle Shirtwaist Company, azienda produttrice delle famose “camicette bianche”, situata nel grattacielo dell’Ash Building, nel cuore di New York City, ai numeri 23-25 di Washington Place.
L’incendio divampò il 25 marzo 1911, un sabato, intorno alle 16,30, quando la giornata lavorativa, iniziata alle 7,00, volgeva al termine. La Rizzo, attraverso un paziente lavoro di documentazione e la consultazione degli archivi comunali ci conferma che le vittime erano 146, di cui 129 donne, di diversa nazionalità, età, religione, accomunate dal “sogno americano” e dal desiderio di allontanarsi dalla miseria, dagli stenti e dalla povertà del luogo natìo. In prevalenza si trattava di donne di età compresa fra 13 e 40 anni, austriache, russe, ungheresi e, delle 38 italiane, la maggior parte siciliane, seguite da pugliesi e napoletane.
L’autrice, affinché una coltre di cenere non cancellasse il ricordo delle “sartine”, fragili creature divorate dalle fiamme, ha voluto indagare e portare alla luce, dopo più di cento anni, la loro identità, i loro nomi esatti, i luoghi d’origine.
05/03/2021
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